La Dottoressa Salmona, luminare francese in Psico- traumatologia, ha scritto un libro dal titolo “ Il libro nero sulla violenza sessuale” (titolo originale: le livre noir des violences sexuelles) . In tale opera, la ricercatrice analizza il fenomeno della violenza sulle donne e cerca di captare, non solo le radici di tale male sociale, ma anche quali siano gli effetti post-traumatici per le vittime. Qui di seguito, troviamo un estratto di tale libro, ossia una lettera anonima che una vittima di violenza scrive alle autorità del suo paese. Presumibilmente, tale vittima si trova in un paese del sud del Mediterraneo, nel quale la legge permette le correzioni corporali, sia in famiglia che a scuola.
Vediamo un piccolo estratto di tale lettera (traduzione dal francese):
Buongiorno, mi presento. Sono una vittima di violenze multiple: fisiche, psicologiche e sessuali. Le ho subite sia in età adulta, che durante tutta la mia infanzia ed è per tale motivo che mi rivolgo a voi. Spesso, capita che noi vittime di violenze (sia che siamo adulte o ancora minorenni) restiamo invisibili, nessuno si accorge di noi. E si dice che noi siamo sempre zitte, che non parliamo mai. Ma ciò è falso. Totalmente falso. Infatti, quando cerchiamo di parlare, nessuno ci vuole ascoltare. Sembra che la gente abbia paura di noi o di quello che potremmo dire se aprissimo bocca. E allora ci fanno tacere rapidamente. Ma ci sono altri modi con cui noi riusciamo a parlare e parliamo tantissimo: parliamo con i nostri gesti, con il nostro corpo, con i nostri comportamenti, ma nessuno ci capisce.
TESTO ORIGINALE:
« Je suis une victime de multiples violences, physiques, psychologiques et sexuelles, subies dans l’enfance et à l’âge adulte, et c’est à ce titre que je m’adresse à vous. Nous, les victimes de violences, enfants et adultes, la plupart du temps, on ne nous voit pas, et on dit qu’on ne parle pas, mais c’est faux, c’est totalement faux, quand nous essayons de parler, on ne nous entend pas, ou on a peur de nous, on a peur de ce qu’on pourrait dire, et on nous fait taire très rapidement, mais nous parlons quand même, nous parlons énormément, nous parlons avec nos comportements et avec nos corps, et on ne nous comprend pas.
La lettera scritta da una donna vittima di violenza è rivolta, dunque, a tutto il sistema di professionisti e istituzioni che si dovrebbero occupare di violenza di genere. L’autrice, nel suo libro, inoltre suggerisce di diffondere delle piattaforme web nelle quali possono collegarsi le vittime per comunicare facilmente con degli operatori altamente specializzati, in materia di psico-traumatologia. Inoltre, la dottoressa Salmona suggerisce di creare delle giornate “a porte aperte” nelle quali vengono invitate le vittime a parlare liberamente e soprattutto ad essere finalmente ascoltate.
Il sistema, che si deve fare carico delle vittime di violenza, include, non solo gli addetti dei centri di ascolto (quali psicologi, assistenti sociali, ecc.). Ma, include anche tutti i vari organismi della società civile, quali ad esempio poliziotti, magistrati, mass-media, politici. Ma, questi sono quasi sempre uomini. Quasi sempre, distanti dalla questione sulla violenza di genere. Quasi sempre sostenitori di un modello maschilista, in cui la donna viene marginalizzata e fatta sedere negli ultimi banchi delle stanze del potere. Stanze, dove, in prima fila, è posizionato il joystick della forza, i cui bottoni di comando sono pigiati quasi sempre dagli uomini.
Prendiamo il caso del Marocco. Il Marocco, infatti, ha conosciuto, dopo la primavera araba del 2011, un forte processo di democratizzazione voluto dal loro Re. Un Re laico, che è riuscito a creare una costituzione ammirabile a livello mondiale e rispettosa delle categorie più fragili. Ma non basta un pezzo di carta a far cambiare le cose, in un paese a forte cultura maschilista, in quanto i passi da fare sono ancora lunghi e tortuosi. Ciò lo si può evincere dal grafico sottostante, nel quale il Marocco è segnato in rosso, poiché è un paese nel quale sono ammesse dalla legge correzioni corporali in casa da parte del capo famiglia, (quindi del solito maschio dominatore). Ma, anche a scuola, da parte degli insegnanti. Questo approccio educativo, però, genera nei bambini dei forti traumi psicologici indelebili.
Non tutti i paesi del Mediterraneo però sono poco sensibili ad esacerbare i reati di genere. Un esempio virtuoso infatti è rappresentato dalla Tunisia, la quale non ammette nessuna punizione corporale, né in famiglia né a scuola. Come si può notare dal grafico, la Tunisia è segnata in verde, il che la rende un paese altamente egalitario e sensibile al problema della violenza di genere.
E l’Italia?
Non facciamoci illusioni. L’Italia non è l’Eden per i più deboli. Dal grafico, possiamo notare che è segnata col colore blu. Cosa significa tale colore? Vuol dire che le punizioni (ma sono chiamate con un termine ancora più nauseante: correzioni corporali) sono ammesse dalla nostra legge in famiglia, ma per fortuna non a scuola. Che cosa a che fare la presenza di punizioni corporali in famiglia con la violenza contro le donne? Semplice: i maschi che hanno ricevuto violenza in famiglia sono più portati da adulti a commettere loro stessi violenza sulle loro compagne, mogli, sorelle, donne in generale o sui figli. Questo lo dicono numerose statistiche delle Nazioni Unite (tra cui, vedasi rapporto UNICEF – agosto 2006 in italiano).
GRAFICO SULLE PUNIZIONI CORPORALI IN EUROPA E NEL MEDITERRANEO
VERDE: ILLEGALI
BLU: Ammesse in famiglia ma non a scuola
ROSSO: ammesse sia a scuola che in famiglia
GRAFICO SULLE PUNIZIONI CORPORALI IN EUROPA E NEL MEDITERRANEO
Ovviamente, questo non è il solo fattore che invita a commettere violenza una volta divenuti adulti. Vi sono anche una serie di innumerevoli altre motivazioni, quali il contesto politico e culturale, la situazione economica e sociale, l’educazione che ha subito l’autore della violenza durante la sua infanzia.
Qual è la soluzione?
Ci vorrebbe un mix di soluzioni differenti, che devono tenere conto del contesto specifico di ciascun paese del Mediterraneo. Ma, intanto sarebbe già qualcosa se si creasse un unico progetto che veda coinvolti tutti i paesi del Mediterraneo, nei quali vige ancora il sistema familista. Tale ipotetico progetto potrebbe prevedere l’inserimento di nuove linee guida, che obblighino gli stati aderenti a rendere illegittime le correzioni corporali. Correzioni deplorevoli, delle quali dobbiamo liberarci al più presto, se vogliamo salvare vite umane. Non dimentichiamoci, che in Italia, stanno aumentando i femminicidi. Un’impennata in questo senso, si è verificata durante il lock- down, dove nel giro di pochi mesi, hanno perso la vita 44 nostre connazionali (dati Istat – agosto 2020).
Vorrei dedicare quest’articolo a queste 44 cugine italiane, che hanno perso la vita per permettere la libertà futura a tutte noi. Tra queste c’è anche una ragazza di Alghero ma di origini liguri, che amava tanto il mar mediterraneo, in tutte le sue sfaccettature. E anche se non l’ho mai conosciuta la immagino più o meno così : rispettosa della natura, altruista con tutti, attenta ai più deboli, si chiamava Speranza Ponti. Facciamo qualcosa per Speranza e per tutte le altre che non ci sono più. Creiamo progetti, partenariati, conferenze con le nostre vicine del Maghreb. Insieme ci riprenderemo noi in mano il joystick con i 3 bottoni della forza:
1) la forza delle donne
2) la forza della democrazia
3) la forza della pace.
Redattrice dell’articolo: Nadia P.